La legge Galli e l’acqua pubblica
La lunga diatriba che si sta sviluppando in questi giorni in merito alla questione della gestione privatistica del servizio idrico integrato, merita alcune considerazioni in proposito. La Legge 36+94 - "Disposizioni in materia di risorse idriche"(Legge Galli) era, nell'idea del suo promotore, un'ottima legge, nella quale veniva sancito un principio fondamentale "Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono PUBBLICHE e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà, Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale, Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora,acquatiche"(art. 1). Con la legge n. 36+1994, è stato avviato in Italia un profondo processo di modernizzazione e riorganizzazione del settore idrico, reso scarsamente efficiente dall’estrema frammentazione degli operatori. Questa frammentazione impediva l’affermarsi di una gestione efficiente (soprattutto in termini di sprechi idrici) e determinava una disomogeneità degli standard qualitativi del servizio. Per fare fronte a questa situazione, la legge assegna alle autorità regionali e locali la riorganizzazione dei servizi di acquedotto e smaltimento attraverso un’integrazione territoriale. In particolare, la Legge assegnava (art. 8) alle Regioni il compito di definire gli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) ed ai Comuni ed alle Province (art. 9) quello dell’organizzazione del Servizio Idrico Integrato, secondo “criteri di efficienza, di efficacia e di economicità”. In particolare i Comuni dovevano provvedere alla gestione del Servizio secondo i modi e le forme previsti dalle vigenti normative: il SII poteva essere affidato ad un soggetto gestore PUBBLICO o PRIVATO. Gli ATO sono costituiti,di fatto, dai Comuni in quanto consorziati. La gestione, comunque,deve avvenire con una serie di clausole tra cui: - l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione - le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio - il soddisfacimento di un adeguato livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza anche con riferimento alla manutenzione degli impianti - la definizione di criteri e modalità di applicazione delle tariffe (determinate dagli ENTI LOCALI) e del loro aggiornamento, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze. Per assicurare il Servizio Idrico Integrato, quindi, tutti i fruitori del servizio devono pagare una tariffa,destinata a coprire i costi dello stesso. La tariffa, poi, è suddivisa in due aliquote: tariffa del servizio idrico e tariffa del servizio di fognatura e depurazione. In particolare, la prima (tariffa del servizio idrico – art. 13) è quella destinata a coprire i costi del servizio di fornitura di risorsa idrica potabile ed è determinata DAGLI ENTI LOCALI (Comuni) tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio![+b] La seconda (tariffa del servizio di fognatura e depurazione – art. 14) è quella destinata alla copertura dei costi per il collettamento delle acque reflue (fognatura) e alla loro successiva depurazione. Anche in questo caso, la tariffa viene determinata, DAGLI ENTI LOCALI, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio! La Legge Galli, dunque, voleva essere uno strumento, soprattutto per i Comuni, per organizzare,ottimizzare e gestire il Servizio Idrico Integrato, secondo criteri di efficienza e risparmio idrico. La Legge prevedeva, poi,anche la concessione della gestione asoggetti terzi non appartenenti alla pubblica amministrazione(art. 20). Da quest’ultimo articolo nascono tutti i problemi! Un soggetto PRIVATO che gestisce un bene pubblico lo fa e lo farà sempre cercando un INTERESSE che non può essere altro che economico. Tale interesse si ripercuote, per forza di cose, sulla tariffa e, quindi, sull’utente finale! Per poter trarre profitto dalla gestione (di tipo “industriale”) del bene acqua o si riducono i costi, con conseguente riduzione dell’efficienza del servizio, o si aumentano gli introiti, con conseguente aumento delle tariffe. Ancora una volta nel Belpaese si sono stravolti i significati delle parole, si sono trasformati i concetti “in corso d’opera” (nella stessa legge), si sono indorate le pillole! Se un’acqua è PUBBLICA, come può essere GESTITA da un privato in una logica di “pubblico servizio”, per l’interesse della collettività? Se la tariffa deve assicurare SOLO la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, come può un privato INVESTIRE in un’impresa che vedrà coperti solo i costi? Siamo alle solite: i principi sono validi, l’attuazione no.
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